La Cina e i suoi passi avanti, che ignorano però alcuni passi indietro: la Revisione Periodica Universale della Cina.

Il 22 Ottobre 2013,
nella Sala XX di Palais des Nations, tensione ed eccitazione si mescolano.
Quasi tutti gli Stati sono pronti a dare la propria opinione circa la
situazione dei Diritti Umani in Cina, a quattro anni dall’ultima Revisione
Periodica Universale del Paese. Nel suo discorso di apertura, Wu Hailong,
inviato del Ministero degli Affari Esteri, ha esaminato i progressi che il suo
paese ha compiuto di recente nel campo dei diritti umani e nel miglioramento
della qualità della vita. Sebbene la Cina ospiti 1,3 miliardi di persone e ben
56 gruppi etnici, a Ginevra è stato presentato un rapporto semplice e conciso,
che va dritto al punto, impiegando solo 25 dei 70 minuti concessi alla
delegazione cinese. L’immagine offerta è quella di un Paese che si ispira ai
principi di uguaglianza, libertà e progresso.

Poi è stata la volta
delle raccomandazioni degli Stati. Rispondendo ai commenti, Hailong ha delineato
accuratamente la situazione, sottolineando  come molti dei paesi in via di sviluppo abbiano
elogiato la Cina per i progressi compiuti nel campo dei diritti umani e del
benessere della popolazione, mentre numerosi paesi del cosiddetto mondo
“sviluppato” abbiano invece denunciato la mancanza di libertà religiosa, le
persecuzioni etniche e l’assenza di libertà politiche. La Cina ha risposto
affermando che le libertà religiose e politiche sono assolutamente garantite,
ma le chiese non dichiarate e contrarie agli interessi governativi sono
considerate illegali, e di conseguenza perseguite.
Replica simile anche alle raccomandazioni di Svezia,
Regno Unito e Stati Uniti che asseriscono che i difensori dei diritti umani non
dovrebbero essere perseguitati o torturati: la Cina li ha definiti come criminali,
che si nascondono dietro la facciata dei diritti umani. Gli Stati hanno rivolto
raccomandazioni riguardanti varie questioni, come la libertà di internet, il
benessere sociale, i miglioramenti nell’educazione, i diritti degli avvocati,
l’abolizione della pena di morte, le discriminazioni di genere, la rieducazione
per mezzo dei campi di lavoro. Più forte di tutte, l’esortazione da parte di
oltre 27 Stati affinché la Cina ratifichi il Patto Internazionale sui Diritti
Civili e Politici firmato nel 1998.
Il mondo attende con il
fiato sospeso di sapere come la Cina risponderà alle raccomandazioni nella
speranza di vedere progredire i diritti umani nel paese. Resta anche la
speranza che il governo cinese consideri tutte le raccomandazioni e continui a impegnarsi
per il miglioramento della vita dei propri cittadini.