Durban Review Conference – High Level Segment

Durante questi giorni, l’Ufficio Diritti Umani FMA di Ginevra sta seguendo l’High Level Segment della Conferenza di Revisione di Durban, momento in cui gli Stati partecipanti, rappresentati ai più alti livelli, presentano all’Assemblea la loro posizione riguardo il processo in esame. L’inaugurazione della Conferenza è stata affidata al Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban ki-Moon, al rappresentante del Presidente dell’Assemblea Generale dell’ONU Francisco Jose Lacayo, al Presidente del Consiglio dei Diritti Umani Martin Uhomoibi a all’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani Navanethem Pillay. I partecipanti hanno sottolineato sin da subito il buon compromesso raggiunto durante i lavori del Preparatory Committee, il gruppo di lavoro che ha visto impegnati i delegati dei Paesi partecipanti nel tentativo di stendere il testo definitivo della Conferenza, ma, nonostante questo, alcuni Stati hanno deciso di non partecipare ai lavori conclusivi del processo. Infatti, avendo avuto la possibilità di dialogare con alcuni Rappresentanti di Stato durante i momenti informali della Conferenza, abbiamo avuto la percezione che una scelta simile non sia stata capita sino in fondo, lasciando così spazio a interpretazioni dissonanti rispetto al clima che si respirava. Infatti, nonostante vi siano stati alcuni momenti di tensione, i lavori si sono svolti in modo semplice, e da più parti si sono levate parole di apprezzamento sia per gli obiettivi raggiunti, sia per l’importanza che al giorno d’oggi una convenzione contro il razzismo e contro qualsiasi altra forma di discriminazione può avere.

In these days, the Human Rights Office IIMA is attending the High Level Segment of the Durban Review Conference. The High Level Segment is a session during which the high Representatives of the States (Ministers of Foreign Affairs, Presidents, Prime Ministers) present their point of view about the process. The General Secretary of the UN, mr. Ban ki-Moon, opened the Conference, and his speech was followed by the statements of mr. Francisco Jose Lacayo, who was acting for the President of the General Assembly of the United Nations mr. Miguel d’Escoto, of the President of the Human Rights Council mr. Martin Uhomoibi and of the speech of mdm. Navanethem Pillay, UN High Commissioner for Human Rights. Even if the draft report edited by the Preparatory Committee is balanced, some States decided to not partecipate at the Durban process, and this decision astonished the majority of the delegations. In fact, a large number of Representatives praised the goals achieved by the Conference basing on the fact that nowadays a convention against racism and related intolerances is fundamental to promote and to protect Human Rights.
6 Comments
  • Mariagrazia Caputo
    Aprile 23, 2009at7:34 am

    Sto vivendo la Conferenza di Durban II non come rappresentante di uno Stato e neppure come rappresentante di una ONG che ha qualcosa da dichiarare, ma come FMA che sente forte nel suo cuore il desiderio che si realizzi “la pace nel mondo, grazie a tutte le persone di buona volonta'”. E’ per questo che ascolto con attenzione, cercando in tutto quanto viene detto segni di speranza. Mi incontro con rappresentanti di ONG e imparo quanto stanno realizzando per dare voce a quelli che sono i piu’ nascosti; parlo con i rappresentanti diplomatici dei vari Paesi e scopro, al di sotto dell’aspetto burocratico, la persona che ti parla dei suoi figli nel desiderio che possano vivere in un mondo migliore. Respiro desiderio di pace…
    Visione troppo semplicistica? Puo’ darsi…Ma vedo muoversi qui a Ginevra i rappresentanti di tutto il mondo che hanno intenzione di lanciare un segnale molto forte: una Conferenza che vuole verificare come gli Stati stiano realizzando i propositi presi a Durban nel 2001 di lottare contro il razzismo e l’emarginazione. I risultati dei colloqui e delle consultazioni hanno portato al consenso su un documento che avra’ il suo impatto a livello mondiale.
    Leggendo i giornali si avverte una certa diffidenza verso Durban II: l’assenza di alcuni Paesi, il discorso del Presidente Ahmadinejad e le reazioni che ne sono seguite sembrano giustificare questo atteggiamento. Mi ha toccato, come a molti partecipanti, la non presenza di alcuni Paesi (“poco rispetto verso le vittime” mi commentava tristemente un rappresentante della Tunisia, “non attenzione da parte di alcuni paesi agli sforzi da parte della Palestina e della Conferenza Islamica di togliere dal documento in esame quanto poteva dispiacere (eliminazione della parola ‘sionismo’, rispetto della libertà di religione, riconoscimento della libertà di espressione…)” rifletteva un rappresentante significativo (Mons.Tomasi). Come italiana ho sentito in particolare il ritiro da parte dell’Italia, il suo non essere presente in un discorso che condanna il razzismo.
    Ero nella sala quando ha parlato il presidente dell’Iran, ho ascoltato il suo discorso e non sta a me giudicare le sue intenzioni. Ha usato espressioni che fanno pensare e che nessuno in quella sede dice :“per lottare contro le manifestazioni di razzismo bisogno ritornare ai valori morali, ai valori spirituali e alla devozione a Dio….la radice del razzismo sta nella mancanza di comprensione di ciò che è la realtà umana come creatura scelta da Dio…la vittoria del bene sul male e l’instaurazione di un sistema mondiale giusto sono stati promessi da Dio e dai suoi Messaggeri(come Mosé, Gesù Cristo, Maometto) e hanno costituito un obiettivo comune delle diverse società e generazioni nel corso della storia…”) e allo stesso tempo si è espresso con forza contro il regime “razzista” del sionismo, e la prepotenza politica ed economica di altri paesi, sollevando entusiasmo da parte di alcuni e reazioni da parte di altri. In tutto questo ho ammirato l’equilibrio del Segretario Generale Ban Ki-Moon (“E’ spiacevole che il mio appello all’unità non sia stato ascoltato…”, dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite ai Diritti Umani Navi Pillay (“…La migliore risposta per questo tipo di eventi è quella di replicare e correggere, e non di ritirarsi o di boicottare la Conferenza…”) e di quanti non si sono lasciati coinvolgere dall’emotività di quanto avveniva nella sala. Mi ha colpito la reazione di un rappresentante della Palestina che mi ha commentato (tra l’arrabbiatura e la tristezza) “Non sono per niente soddisfatto di quel discorso…ci ha creato solo problemi che ora dobbiamo risolvere.”
    La Conferenza è continuata normalmente senza ritornare più sull’accaduto e il 21 aprile, c’è stata l’approvazione, per consenso, del documento finale, con grande soddisfazione dei presenti.
    Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra e capo delegazione vaticano alla conferenza sul razzismo ha detto a Radio Vaticana «Il documento non è perfetto , però rispetta i punti sostanziali dei diritti umani, apre la strada a continuare a negoziare in futuro su alcuni temi che, per la prima volta, sono stati accettati universalmente». Solo 9 Paesi (La Germania,l’Australia, il Canada, gli Stati Uniti, l’Italia, Israele, i Paesi Bassi, la Polonia e la Nuova Zelanda) non risultano in questa approvazione finale a motivo della loro assenza.
    “Tutti i popoli e gli individui costituiscono una sola razza umana” recita il documento e nel mio cuore fa eco una preghiera che le dà un fondamento “che tutti siano Uno, Padre”.
    Ed è questa promessa che sostiene la mia speranza.

  • mariagrazia
    Aprile 28, 2009at6:50 am

    Resto allibita per i rapporti non veritieri dati da alcuni giornali italiani…

  • Stefano
    Aprile 28, 2009at8:40 am

    Ginevra è una città multiculturale, una sorte di microcosmo che ha in se tutto il mondo; nella maggior parte dei casi, la gente è abituata a incontrare persone di culture, religioni e tradizioni diverse, e non è una rarità avere a che fare con uomini e donne che insieme disegnano un unico grande arcobaleno umano. Nella maggior parte dei casi, Ginevra è una città che ha assimilato lo spirito di Durban. Noi siamo abituati a questa grande varietà, e ci piace! Ci piace ascoltare le storie degli altri, ci piace entrare in punta di piedi in mondi a noi completamnente oscuri…E’ una ricchezza e un arricchimento infinito! E ogni volta (ma soprattutto questa volta) che accade qualcosa contrario allo spirito di accoglienza reciproca a cui siamo abituati resta l’amaro in bocca. Stazione di Mestre, sabato 25 aprile, primo pomeriggio. Anche li la banchina è calpestata da piedi che hanno camminato su terre diverse, magari non sono piedi di persone “abituate a lavorare all’ONU”, ma sono sempre di persone (individui, esseri umani con diritti uguali a tutti gli altri…). Tra le diverse persone, spunta un africano, vestito all’occidentale, a occhio un professionista qualsiasi, magari un medico o un commercialista. Arriva il regionale per Bologna e improvvisamente da questo treno alcune grida superano in potenza l’Inno alla gioia della pubblicità per le elezioni europee: “Vattene a casa tua! Brucia negro, brucia! Torna tra i tuoi bongobongo!”. Che amarezza…Quattro giorni spesi a parlare di anti-razzismo, di buone pratiche contro la discriminazione e una volta finito il tutto sembra sia finito lo spirito grazie al quale moltissimi Paesi del mondo si sono trovati per definire un piano d’azione comune per la promozione di politiche di tolleranza. La domanda allora è quasi consequenziale: Durban può avere un risvolto concreto, sul campo, o è solo una convenzione/dichiarazione che serve ai Governi per far vedere al mondo la propria onestà e la propria bravura? Come possiamo tradurre la conferenza internazionale di questi giorni in un piano d’azione concreto che educhi all’accoglienza dell’altro, che vada la di là degli articoli della Convenzione stessa e trasmetta quello spirito di famiglia e umanità che più volte è stato citato? Si, è un compito difficile, ma “quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare”. Forse abbiamo perso la generazione di oggi (anche se non ne sarei poi così sicuro), ma i ragazzi che oggi si stanno formando dovrebbero essere consapevoli che esiste uno spirito di tolleranza che è fissato su una Carta internazionale, e che, soprattutto, deriva dall’essere individui…Non solo uomini, non solo, cioè, “esseri animali”, ma individui, con una propria coscienza, un proprio intelletto e una propria visione del futuro. Cose queste di ogni individuo, a prescindere dall’aspetto esteriore. Ogni individuo ha gli stessi diritti, ma finché questo non sarà colto sarà ben difficile che lo spirito che permea la carta di Durban possa davvero esprimersi…Una domanda aperta: come ufficio diritti umani, possiamo fare qualcosa?

  • Lory
    Aprile 28, 2009at8:50 am

    La Conferenza di esame di Durban si è conclusa questo pomeriggio fra applausi e soddisfazioni. Il Presidente dell’Assemblea Generale ha ribadito come il motto della Conferenza sia stato, nel suo momento conclusivo, ancora più forte e vivo : « uniti contro il razzismo ».
    Giornali e miscredenti hanno beffeggiato questo motto all’apertura della Conferenza e nel momento in cui hanno appreso che alcuni Paesi avrebbero disertato al Conferenza. Ma, il livello di soddisfazione all’interno della sala dell’Assemblea Generale e il caloroso applauso con il quale è stata salutata la conclusione dei lavori hanno fatto dimenticare le esterne voci dissidenti e quelle pochissime sedie vuote.
    Con grande ammirazione e sorpresa ho ascoltato il discorso conclusivo delle Federazione Russa con il quale non è stata solo sottolineata l’importanza del risultato raggiunto, bensì il successo della costruttiva collaborazione degli Stati partecipanti. Il rappresentate russo ha, infatti, ringraziato tutti gli Stati ed in particolar modo alcuni Paesi musulmani per aver permesso l’eliminazione dei riferimenti a Israele e alla “diffamazione delle religioni” presente nel progetto di documento finale, che era stato al centro di un braccio di ferro con i Paesi occidentali.
    Ma, se gli Stati sembrano andare tutti nella stessa direzione, la voce della Società Civile è stata talvolta discordante con questa atmosfera.
    Le ONG hanno avuto l’opportunità di parlare nel momento in cui il documento era stato già approvato. Lo speady approval, come è stata definito, è stato da molti considerato come un modo per riparare ai problemi di consenso che gli Stati avevano riscontrato durante i lavori preparatori o ancor peggio come un modo per rispondere sia all’assenza in aula di alcuni Stati, sia al discorso tenuto dal presidente della Repubblica islamica dell’Iran Mahmoud Ahmadinejad, che pur avendo scatenato lo sconcerto nel mondo intero non ha minimamente intaccato gli animi positivi dei rappresentanti di Stato presenti nella sala.
    Alle ONG non è stata, sfortunatamente, concessa la giusta attenzione. Infatti, a differenza dell’aula gremita in occasione del High Level Segment o della cerimonia conclusiva, nel momento in cui la parola è passata alla società civile l’aula era semivuota. Ma non sono forse le ONG una fonte inesauribile di informazioni per gli Stati? Non sono forse le ONG un supporto alle attività governative fondamentale in molti Paesi? Non hanno forse anche loro partecipato ai lavori e fornito un contributo per la stesura del documento? Come si può, allora, allo stesso tempo decantare l’importanza della società civile e ignorarla nel momento in cui esprime un parere, espone una realtà o semplicemente, come è stato fatto nella maggior parte degli interventi, si felicita per il raggiungimento di un traguardo storico che dà speranza nel futuro e fiducia nell’umanità?
    Solo 50 ONG su circa 120 sono riuscite a prendere la parola, e alcune di queste non hanno potuto portare a termine il loro intervento perché accusate da alcuni stati, come Cina e Iran, di utilizzare un linguaggio irrispettoso nei confronti del loro Stato o del loro Capo di Stato. Perché a discapito dell’indifferenza, forse matura, dimostrata dagli Stati per il discordo tenuto dal presidente iraniano, alcune ONG non hanno lasciato correre e più volte hanno ribadito la durezza di quelle parole.
    Ma a conclusione dei lavori e dopo aver ingenuamente assistito ad un momento storico mi ritrovo a scrivere queste righe con un sorriso di soddisfazione e una speranza. Sorrido perché il contenuto del documento è prezioso e rappresenta un ulteriore passo verso l’uguaglianza e il rispetto della vita umana ma allo stesso tempo spero.
    Spero che le parole e le intenzioni non restino fiumi di inchiostro su pagine che mai nessuno rileggerà, come è stato ribadito anche da molte delegazioni e rappresentanti della società civile, ma, si trasformino in azioni concrete e repentine. Spero che i governanti degli Stati possano essere i primi a farsi carico del diritto alla vita dei cittadini che rappresentato e che hanno il dovere di proteggere e tutelare, coscienti del fatto che la vita è una e ognuno ha il diritto di viverla nel modo più degno possibile perché non gli verrà mai data una seconda possibilità.

  • Maria
    Aprile 28, 2009at1:56 pm

    La Conferenza di Durban si è conclusa venerdì scorso dopo aver sollevato numerose polemiche. L’apice della crisi si è consumato in occasione dell’intervento del Presidente dell’Iran, che ha generato reazioni forti tra i Rappresentanti di Stato presenti, alcuni dei quali hanno scelto di lasciare la sala in segno di disapprovazione.
    Più in generale, le critiche sollevate nel corso della conferenza hanno riguardato la mancata o quanto meno insufficiente applicazione della DDPA ed hanno messo in dubbio l’effettività di un congresso internazionale presentato come un punto di svolta nell’impegno della lotta al razzismo, e poi risoltosi in ciò che alcuni rappresentati della Società civile hanno definito una vera e propria “perdita di tempo”. Aspre critiche sono state mosse anche contro l’outcome document della Conferenza, in particolare circa l’eccessiva rapidità della sua adozione e la presunta “generalità” del contenuto.
    Certamente il documento della Conferenza di Durban è un testo di compromesso, che riflette posizioni politiche molto distanti, ed in quanto tale perde qualcosa in termini di efficacia. Tuttavia, il fatto stesso che un compromesso sia stato trovato, soprattutto dopo la crisi provocata dall’intervento del Presidente iraniano, può essere considerato un segnale di speranza. Molto dipenderà dall’attuazione che questo documento troverà nelle realtà nazionali dei diversi Stati: è lì che si gioca la partita. Come sempre nei fatti, più che nelle parole.
    Io credo che l’aspetto più negativo di quanto avvenuto durante la tanto discussa Durban II, consista principalmente nell’ estrema politicizzazione (con chiaro riferimento alla questione Israelo-palestinese) che ha deviato l’attenzione internazionale dal vero significato della conferenza.
    Ciò nonostante, ai pochi fortunati che hanno avuto l’onore di partecipare all’evento e non di limitarsi alle parziali informazioni divulgate dai media, non può essere sfuggita la flessibilità dimostrata dagli Stati (seppure con le dovute eccezioni) nell’ascoltare le posizioni altrui anche quando d’altra parte non si era disposti a fare altrettanto (vedi la posizione iraniana). Infatti, prima ancora che nei contenuti dei discorsi,la volontà di trovare un compromesso e l’apertura al dialogo si riflettono nella capacità di ascoltare e nel rispetto delle idee altrui.
    Questa considerazione offre una possibile chiave di lettura per quanto è avvenuto in occasione del discorso del Presidente iraniano. La protesta di alcuni Stati che hanno lasciato la sala è comprensibile, la scelta di proseguire con un atteggiamento di ferma chiusura non lo è altrettanto. Molti Paesi, come Francia e Regno Unito, hanno comunque deciso di salvare il significato della Conferenza e dei valori da essa affermati prendendo parte all’adozione del documento conclusivo. Altri non hanno seguito il loro esempio. Due osservazioni: la prima riguarda il fatto che ancora una volta l’Europa si è mostrata divisa; la seconda è la triste constatazione che nessuno si dispererà per l’assenza dell’Italia, che ha scelto di rimanere fuori dai giochi. Forse il nostro Governo non ha capito che la politica internazionale non è decisa dalle sedie vuote.
    Né la posizione statunitense può fornire una qualche forma di alibi: oltre ad avere una politica estera lontana anni luce da quella italiana, gli USA hanno sempre e comunque costituito un caso a parte.

  • Stefano
    Aprile 28, 2009at3:27 pm

    Eventuali riflessioni sulla Conferenza di Revisione di Durban potrebbero partire da diversi punti di vista, positivi o meno che siano: la possibilita’ che gli Stati e la Societa’ Civile hanno avuto nel potersi riunire in un unico forum internazionale a discutere di problemi scottanti quali il razzismo e la discriminazione; il ruolo di alcune ONG, nel bene e nel male; la valutazione del compromesso raggiunto…Per quanto mi riguarda, cio’ che mi ha piu’ colpito sono state le risonanze internazionali che un evento come questo ha avuto. Il lavoro di mesi, se non di anni, e’ stato nascosto da mezzo discorso (su 5 minuti totali…) del Presidente iraniano, facendo credere a chi ha seguito Durban solo dalla stampa che il convegno fosse una sorta di club anti-sionista, un club razzista con la pretesa di voler eliminare dal mondo il razzismo. Noi sappiamo bene che cosi’ non e’ andata, sappiamo bene quali e quante sono state le ONG che hanno creato problemi e tensione, e quante di queste (decisamente la maggioranza) erano alle Nazioni Unite solo per ascoltare, riflettere e rispondere adeguatamente. E sappiamo anche che cos’e’ il testo di Durban, sappiamo quanto importante sia il compromesso trovato tramite quella fondamentale collaborazione tra Stati e Societa’ Civile che c’e’ stata. D’altra parte, e’ da chiedersi quanto di cio’ che gli Stati hanno deciso sara’ effettivamente applicato, quante, tra tutte le buone prassi annunciate, saranno quelle che davvero prenderanno piede. Il ruolo delle ONG, alllora, diviene fondamentale: esse, infatti, danno quel collegamento tra l’astratta politica internazionale e la concreta realta’ sociale, permettono di pungolare gli Stati facendo loro presente quanti e quali sono gli impegni che essi stessi si sono accollati e portano la voce di coloro i quali vedono i propri diritti violati ma non hanno la possibilita’ di denunciarlo al mondo. Per quanto ci riguarda, credo che ancora una volta emerga a margine di questo incontro il nostro ruolo di educatori. Da un lato, educare al positivo diffondendo il piu’ possibile la “verita'” di Durban, facendo vedere come cio’ che e’ emerso non e’ cio’ che e’ stato diffuso dai media ma solo una piccola e, mi permetto, inutile parte; dall’altro, educare con l’esempio al dialogo costruttivo, quel dialogo che, anche se puo’ essere pungente, e’ comunque all’interno di certe regole.

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